Tratto da una famosa opera teatrale di Pagodin, scrittore di robusta vena e ferrea ideologia proletaria, L’uomo col fucile è una scoppiettante “commedia degli equivoci”, protagonista il soldato Ivan Sadrin, dalla linea del fuoco incaricato di portare una lettera a Lenin. Giunto al Quartier generale, al palazzo Smolnyi, Ivan incrocia in un corridoio il leader bolscevico ma non lo riconosce. Cominciano a parlare. Affabilmente. Lenin si informa sull’umore e il morale dei combattenti al fronte, gli chiede della famiglia, della sua terra, dei progetti futuri, di cosa pensa della guerra e della pace. Le domande dello sconosciuto imbarazzano e inquietano il contadino soldato, che l’unica cosa che desidera è potersene tornare a casa, dai suoi cari, ai suoi campi, al suo umile lavoro anche se comprende che non è ancora il momento di attaccare il fucile al chiodo. Sarà alla fine un colloquio illuminante, destinato a “rivoluzionare” il suo punto di vista, a modificare la visione delle cose, ancorata a un opportunismo poco edificante, insomma a fornirgli una coscienza politica adeguata ai tempi e ai nuovi orizzonti della storia. Trionfo del comunismo e gloria imperitura a Lenin. Un tributo, senza se e senza ma, alla sua umanità, modestia, semplicità. Insomma il compagno Lenin della porta accanto, l’uomo comune che non ti aspetti, rispettoso degli altri, paziente e misericordioso. Un santino. Film didascalico e didattico nel senso migliore del termine, L’uomo col fucile è figlio fra i più alti del realismo socialista, un film che accomuna Lenin a tutti i rivoluzionari raccolti attorno al partico comunista sovietico, individui e leader dotati di rispetto per il popolo e di inaudito slancio umanitario.