79° Maggio Musicale Fiorentino
Opera

Lo specchio magico

Fabio Vacchi

Lo specchio magico è il misterioso strumento attraverso cui un ragazzino può mostrare a quattro feroci tiranni il drammatico futuro che attente il pianeta. Ma è anche un viaggio che attraversa epoche diverse e unisce paesi distanti tra loro migliaia di chilometri, una riflessione sulla bellezza delle storie che raccontano la vita e un’emozionante parabola di speranza. Con il suo linguaggio che fonde musica classica, riferimenti etnici e rap, la nuova opera di Fabio Vacchi viene presentata in prima esecuzione assoluta al 79° Maggio Musicale Fiorentino.

Lo Specchio Magico
Urban Art Dance Opera
Musica di Fabio Vacchi
Libretto di Aldo Nove

Prima esecuzione assoluta


Artisti

Direttore
John Axelrod

Regia
Edoardo Zucchetti

Visual Artist
Cristiano Koreman

Maestro del Coro
Lorenzo Fratini

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Giasone di Fere
Roberto Abbondanza

Alessandro di Fere, John Dunbar
Paolo Antognetti

Dioniso di Siracusa
Marcello Nardis

Alessandro di Macedonia
Italo Proferisce

Rea/Alzata/Aung San Suu Kyi
Alda Caiello

Lawrence
Mirko Guadagnini

Compton, Due Calzini, Ambasciatore
Pietro Picone

Oppenheimer, Pawnee, Romolo Augusto
Matteo Ferrara

Cuoco, Sioux, Fermi, Paul Tibbet
Marco Bussi

Cantastorie
Millelemmi

Piccola Nuvola
Filippo Coffano Andreoli

Live performance dell’artista Moby Dick
IL RAP DELLA LIBERTÀ

di Aldo Nove

 

Non esiste una cultura di strada.

Ma esistono le strade e innanzitutto i crocicchi, cari ai Greci e ai Romani che ne fecero luoghi di culto. Indicano incroci. Dove le storie si incontrano.

Le storie sono sempre convergenze di diverse nature.

La stessa Natura, quella con la maiuscola, è il continuo ribollire di incontri. Oppure di scontri.

E poi c’è la Storia. Quella con la maiuscola, che è il fiume dove sfociano quelle con l’iniziale minuscola, e dai cui riemergono. Integre. Massacrate.

Riemergono.

Ma non sempre.

Lo specchio magico vuole essere una fiaba che ci racconti, attraverso l’anima di un bambino, l’incontro con la Storia e le storie che la formano e che ne scaturiscono. Vuole o meglio vorrebbe mostrare quanto numerosi siano, in quel prisma multicolore o troppo spesso opaco che è la vita, i lati che ci riflettono.

Ogni favola è un gioco, un gioco a metà.

Diventa altro quando “il gioco si fa duro” e peggio ancora saltano le regole. In realtà, quella che leggiamo sui libri di scuola, quella stessa che noi per convenzione chiamiamo Storia è la costellazione di queste eccezioni, sotto un cielo che diventa sempre meno illuminato, scuro.

La Storia diventa sopruso, e quando il sopruso diventa norma la fiaba si trasforma in incubo. A molti piacciono gli incubi.

A noi no.

Questo specchio magico racconta storie esemplari.

Storie di individui che hanno voluto (re)inventare la vita per il miracolo che è e dovrebbe essere. Una grande scrittrice parlava di un mondo salvato dai ragazzini. Piccola nuvola potrebbe rappresentare proprio loro.
I ragazzini che seguono il pifferaio magico della verità.
Della giustizia.
Della non violenza.
Di quei casi esemplari in cui qualcuno ha saputo dire “no” ai sogni guasti che, anche e particolarmente in questo momento storico, rischiano di travolgerci come un mare in tempesta.
Un’educazione alla vita, dunque. Ai valori della vita che sono innanzitutto il rispetto della stessa nella molteplicità delle sue espressioni e delle sue culture.
Nulla di “puro”.
“Contaminazione” come energia.
Come quel “brodo primordiale” da cui inaspettata nacque l’inaudita avventura umana e che continuamente, chi non sa giocare, chi non vuole giocare, chi pensa di avere già vinto e chi trucca il gioco rischia di mandare in frantumi.
Come uno specchio che non riflette più nulla.
Abbiamo scelto così l’intreccio di storie diverse, diversamente collocate nello spazio e nel tempo (dall’antichità ad oggi) ma tutte caratterizzate da una volontà di riscatto, di pace, di giustizia e verità.
Parole pericolose, perché chi le usa è spesso chi le nega, truccandole oppure rendendole semplicemente parziali.
Piccola Nuvola capisce che noi siamo, alla fine, un’Unità.
Spaccata dalla vanità.
Dal gonfiore di un “io” che non può che portare all’esplosione del senno. Quello che l’arte, anche la più trasgressiva, come per magia alla fine ripristina.

Un romanzo di formazione, quindi.
Un altro Pinocchio.
Il ventre della Balena è la Storia.
Episodi esemplari che abbiamo scelto per renderne alcuni esempi, per farne una possibile sintesi.
La Storia... che è poi è la cultura, il dolore e l’amore, le sofferenze e le gioie di tutti noi. Tutti.
Lo specchio magico ci conduce attraverso di essa.
FABIO VACCHI
Nasce a Bologna, città in cui studia al Conservatorio Giovan Battista Martini, e nel 1982 porta in scena la sua prima opera, Girotondo, tratta da una pièce di Arthur Schnitzler, al Maggio Musicale Fiorentino. Otto anni più tardi al Teatro Comunale di Bologna debutta invece Il viaggio, a cui seguono nel 1993 La Station thermale, commissionata dall’Atelier Lyrique di Lione in occasione delle celebrazioni per il secondo centenario della morte di Goldoni, Les oiseaux de passage nel 1998, Il letto della storia nel 2003, Teneke nel 2007 e Lo stesso mare nel 2011. Membro onorario dell’Accademia Filarmonica di Bologna e membro effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, nel 2002 è premiato con un David di Donatello per la colonna sonora del film di Ermanno Olmi Il mestiere delle armi.

JOHN AXELROD
Nasce nel 1966 a Houston e a sedici anni segue Leonard Bernstein durante la produzione della sua ultima opera, A Quiet Place. Dopo il diploma con lode alla St. John's School, si laurea in Musica alla Harvard University e studia direzione d’orchestra con Ilya Musin al Conservatorio Statale di San Pietroburgo. Fondatore dell’Orchestra X nel 1996 e assistente di Christoph Eschenbach, ricopre prima la carica di Direttore Principale della Luzerner Sinfonieorchester e poi di Direttore Musicale dell’Orchestre National des Pays de la Loire. È Direttore Principale Ospite dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano dal 2011 e Direttore Principale e Artistico della Real Orquesta Sinfónica de Sevilla dal 2014. Nel 2015 dirige Candide al 78° Maggio Musicale Fiorentino.
Non ho mai creduto nella supremazia della letteratura sulle altre arti. Anzi, sono scrittore “per caso”. Perché il mio primo insegnante di musica fu pessimo, lasciandomi un imprinting negativo incolmabile e perché con le pitture, da bambino, ci pasticciavo talmente, tornandoci e ritornandoci sopra, da devastarle. Chissà, forse facevo action painting ma non ne ero ancora consapevole. Il teatro poi era letteralmente impraticabile, fino ai vent’anni ho balbettato ai limiti dell’afonia.
Ma ho sempre creduto nella poesia.
“Poesia”, in Greco, significa, lo sappiamo, “fare”.
Non c’è arte che non sia azione.
Di più. C’è il fattore storico. Il “fare” dell’arte non è (almeno non lo è immediatamente, non lo è sempre) finalizzato all’unico fare dell’odierna religione di massa che è quella del denaro.
È un fare che c’entra con l’utopia. L’utopia è un non luogo. Non è un non tempo. Il fare dell’arte crea nuovi tempi.
Li anticipa.
Oppure letteralmente li crea.

Ho incominciato a scrivere poesie a quattordici anni. Le mie prime prose un paio di anni dopo. Ma scrivevo anche testi di canzoni. Ascoltavo musica. Tanta musica. Si può dire che la musica mi ha salvato nel periodo più difficile della mia vita: quando, tra i sedici e i diciassette anni, ho perso entrambi i genitori.
In quel duro ma fecondo apprendistato della vita ho capito che la mia missione era trovare una forma di integrazione che non poteva più essere quella naturale della famiglia. La mia famiglia è diventata l’arte.
Una famiglia fatta di poeti, scrittori, musicisti, artisti, fotografi, scultori.
Una famiglia in cui da generazione a generazione si trasmette un “sapere” immediatamente inutile perché proiettato altrove ma che, mentre lo si fruisce, lo si interiorizza, diventa germe di futuro.
L’arte è una scommessa viscerale sul futuro.
La poesia, in qualunque sua forma, ne è l’emersione ma soprattutto la sua messa in comune. In qualunque forma, così come sono svariate le forme della vita stessa.

Ho sempre mal tollerato la suddivisione della musica in generi. Credo che abbia una valenza di mercato. La forma della canzone, con l’ausilio del testo, ne svela bellamente l’arcano. Tanto che un orribile aria d’opera crolla di fronte a una “canzone di consumo” di grande qualità.
Nel 2016, poi, tale classificazione perde ancora di più senso.
Abbiamo passato decenni in cui la “musica colta” poteva definirsi tale solo se letteralmente indigeribile, ponendosi grottescamente in opposizione a una musica “di consumo” rea di essere fruibile. E negli stessi anni, ottimi artisti pop hanno sfiorato il ridicolo componendo “opere” di un’ingenuità degna di una lettura al massimo sociologica.

Fabio Vacchi è il musicista che, sulla scorta della conoscenza innanzitutto di Mozart (in questo coadiuvato anche dalla sodale di una vita Lidia Bramani, che di Mozart è una delle massime esperte ma non solo) è uno dei pochi, pochissimi musicisti uscito non indenne, ma rafforzato, da decenni di assurde contrapposizioni tra opposte scuole di musica “colta”.
“La musica contemporanea mi butta giù”, cantava Battiato in una delle sue canzoni più popolari. Buttava giù anche me.
Non quella di Fabio Vacchi.
Coltissima e all’insegna di quella “giusta misura” mozartiana che tiene lontani da eccessi autoreferenziali ma parla al pubblico, alla mente e alla cuore del pubblico. E, animata da una forte tensione etica, non ha mai smesso di cercare di esprimere valori. La magia della musica di Fabio Vacchi è la sua laica sacralità. La sacralità di una società che mai come oggi ha bisogno di riproporsi battendo nuove vie senza nulla scartare di quelle tradizionali che ne sono perenne fondamento.
“Il classico - diceva Ezra Pound - è il nuovo che resta nuovo”.
Per questo collaborare con Fabio (e diversi sono ormai i lavori che ci hanno visti lavorare assieme, a partire da quella forma oggi piuttosto negletta ma tanto - e giustamente - in auge ai tempi di Mozart, il melologo) è per me un piacere infinito. La consapevolezza ormai di una sfida in comune in cui si mettono in gioco i fondamenti di quell’araba fenice che è l’arte e che ognuno è libero di esercitare come vuole.
Purché sia contagio di emozioni.
In uno stadio o in una sala di conservatorio.
Per strada o al MOMA.
L’arte è ovunque.
Agli artisti il compito di renderla visibile.

Aldo Nove
Date

Sab 7 maggio, ore 20:00

Prezzi
Platea 1 € 100
Platea 2 € 80
Platea 3 € 60
Palchi € 35
Galleria € 20
Visibilità limitata € 10
Dove

Teatro del Maggio Musicale Fiorentino

Piazzale Vittorio Gui, 1
50144 Firenze

Dettagli e mappa
Oltre il sipario
Guide all'ascolto
7 maggio, ore 19.15