Tratta dall'inquietante racconto di Henry James e composta da Benjamin Britten per la Biennale di Venezia del 1954, The Turn of the Screw è probabilmente l’opera più ambigua mai creata per il teatro, in cui nulla è davvero quello che sembra. Le domande si susseguono incalzanti, ma le risposte restano sempre sospese, pudicamente taciute. Da dove nasce l’atmosfera sinistra che aleggia in questa grande casa isolata tra le nebbie della campagna inglese in cui una giovane istitutrice è chiamata a occuparsi degli orfani Miles e Flora? Cosa è accaduto in passato di così tremendo? E soprattutto, esistono realmente quei terribili fantasmi che sembrano avvilupparsi attorno ai due bambini?
The Turn of the Screw
Opera lirica in un prologo e due atti
Libretto di Myfanwy Piper ispirato all'omonimo racconto di Henry James
Musica di Benjamin Britten
Governess
Sara Hershkowitz / Anna Gillingham (24/05 e 05/06)
Prologue/Quint
John Daszak
Mrs. Grose
Gabriella Sborgi
Miss Jessel
Yana Kleyn
Flora
Rebecca Leggett
Miles
Theo Lally
PROLOGO
Il Prologo, davanti al sipario chiuso, illustra l’antefatto: una giovane donna viene assunta per occuparsi di due orfani, a patto di non scrivere mai al tutore qualsiasi cosa accada.
ATTO I
Dopo un viaggio in preda ai dubbi, l’Istitutrice arriva a Bly, residenza nella campagna inglese in cui assieme alla governante Mrs Grose, vivono Miles e Flora, i due ragazzi di cui dovrà prendersi cura. Presto riceve una lettera e scopre che il ragazzo, nonostante appaia tanto inoffensivo, è stato cacciato da scuola per aver fatto del male ai suoi compagni. Strani avvenimenti cominciano a verificarsi: l’Istitutrice intravede uno sconosciuto che la osserva intensamente. Non capisce chi possa essere e, turbata, lo descrive a Mrs Grose. La donna sostiene trattarsi di Peter Quint, un cameriere ora morto ma un tempo molto legato al ragazzo. Inoltre, mentre passeggia nel parco, sulla riva di un lago intravede Miss Jessel, la precedente istitutrice morta anch’essa da tempo. Attirato da Quint, Miles nella notte esce in giardino mentre Flora appare alla finestra soggiogata da Miss Jessel. All’arrivo dell’Istituitrice e della governante i fantasmi però svaniscono.
ATTO II
In un luogo non definito i due spettri discutono su come impadronirsi dei ragazzi. L’Istitutrice, sconvolta dall’ennesimo incontro con Miss Jessel, decide di scrivere al tutore; la missiva viene però rubata da Miles, istigato da Quint. Più tardi, mentre la donna si addormenta cullata dalla melodia che il ragazzo sta suonando al pianoforte, Flora torna sulla sponda del lago. Qui appare Miss Jessel; la ragazza e Mrs Grose, che nel frattempo l’ha raggiunta assieme all’Istitutrice, affermano però di non vedere nessuno. Il mattino seguente la governante rivela che la ragazza, nel sonno, ha raccontato cose tremende e decide di portarla lontano da Bly. Miles, dopo aver confessato il furto della lettera e il nome del suo persecutore, muore inspiegabilmente tra le braccia dell’Istitutrice.
BENJAMIN BRITTEN
Benjamin Edward Britten nasce a Lowestoft, in Inghilterra, il 22 novembre 1913. Attivo compositore fin da piccolo, frequenta la prestigiosa Gresham’s School e il Royal College of Music. Nel 1936 conosce il poeta Wystan Hugh Auden con cui collabora per alcuni lavori, come il ciclo di canzoni Our Hunting Fathers e l’Hymn to St. Cecilia. L’anno successivo incontra il tenore Peter Pears, compagno di vita e primo interprete di numerose sue opere: Peter Grimes (1954), Billy Budd (1951), Gloriana (1953), The Turn of the Screw (1954), Death in Venice (1973). Nel 1962 dirige con enorme successo il War Requiem scritto per la consacrazione della nuova Cattedrale di Coventry. È il primo compositore a ricevere il titolo onorifico di pari a vita, diventando Barone di Aldeburgh, cittadina del Suffolk in cui nel 1948 fonda l’omonimo Festival e dove si spegne il 4 dicembre 1976.
JONATHAN WEBB
Nasce nel Kent e studia pianoforte, violino, canto corale e direzione d’orchestra a Manchester, città in cui debutta ventunenne dirigendo West Side Story. Direttore Musicale di Opera Ireland, Maestro del Coro al Wexford Festival e quindi Direttore stabile all’Israeli Opera, dove sale sul podio per per più di quaranta produzioni, tra cui Così fan tutte, A Midsummer Night’s Dream, Il barbiere di Siviglia, Cavalleria rusticana, Pagliacci, Carmen, La traviata, Lucia di Lammermoor, Tosca. Direttore Principale Ospite al Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona, è inoltre invitato alla Deutsche Oper di Berlino, al Teatro de la Maestranza di Siviglia, al Teatro La Fenice di Venezia, al Teatro San Carlo di Napoli. Dal settembre 2014 è Direttore Musicale della Camerata Strumentale Città di Prato.
BENEDETTO SICCA
Laureato in giurisprudenza, si diploma in recitazione presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma nel 2003 e successivamente si perfeziona in tecniche di vocalità molecolare. Lavora per il cinema e come attore e autore per la radio e la televisione; in teatro collabora con Luca Ronconi, Massimo Castri, Mario Martone. Lavora inoltre con Abel Ferrara, Michele Placido, Robert Wilson e con la Societas Raffaello Sanzio; scrive per il teatro in prosa e musicale, per il cinema e la televisione. Docente presso l’Accademia di Perfezionamento Rodolfo Celletti di Martina Franca e coordinatore didattico del Summer Program del Campus di Molino, nel 2014 debutta nell’opera lirica firmando la regia della Lotta d’Ercole con Acheloo al Festival della Valle d’Itria.
“Il giro di vite” è un’opera di Britten, ma anche un racconto lungo di Henry James. Allestire quest’opera rende necessaria una riflessione su ciò che prima James e poi il compositore inglese, con la complicità della librettista Myfanwy Piper, hanno costruito intorno ad una storia curiosa - per dirla con le prime parole del prologo dell’Opera. Si tratta di un meccanismo molto elaborato, basato su stratagemmi linguistici e distrazioni narrative, che chiamano continuamente in causa il lettore e lo spettatore: si apre una porta, lo si conduce a porsi delle domande (o ancor meglio a sentire delle domande), gli si offrono strumenti per approntare una risposta e, non appena quella risposta sta per giungere, li si mette nelle condizione di doversi porre una nuova domanda.
Il dubbio è la vite che gira nella testa e nell’animo dello spettatore: un dubbio che ha a che fare con i propri fantasmi interiori, con le proprie paure, con i propri desideri e le proprie fantasie più recondite.
La curiosa storia di fantasmi in cui – come nelle più recenti trasposizioni cinematografiche – è impossibile capire se i vivi siano davvero più reali dei fantasmi o i morti si accaniscano a cercare di sentirsi vivi, è una profonda messa in discussione delle certezze dello spettatore chiamato ad avvitarsi sul mistero del male e dell’innocenza perduta, senza capirne il perché.
“Il giro di vite” è la storia di una Governante che va ad occuparsi di due bambini orfani, affidati solo alle cure di una cameriera anziana e semi analfabeta ed alla tutela a distanza di uno zio ricco e sornione. Ma il plot diviene un contenitore di sospetti tra ciò che è accaduto e ciò che è insinuato, ed in questo limbo si articolano opinioni ed immagini del presente e del passato del tutto arbitrarie, che deformano la realtà e la rendono una delle possibili declinazioni di un punto di vista.
Di chi è questo punto di vista? Non si sa. Il punto di vista, come il tema congegnato da Britten, varia e rivaria e si attorciglia nell’evoluzione (e involuzione) dell’Opera. E se il punto di vista varia, la soluzione ai quesiti, ai nostri dubbi, slitta. Cosa è successo al piccolo Miles? Che cosa ha fatto a scuola di tanto grave da meritare un’espulsione? Che cosa c’era tra lui e l’ex maggiordomo Peter Quint? Che rapporto c’è tra il defunto Peter Quint e l’altrettanto defunta moglie? Che rapporto c’è – se ce n’è uno – tra Peter Quint e lo zio tutore legale dei bambini? Perché la Governante accetta, supinamente, le condizioni dello zio tutore? Perché la Governante lascia sua figlia per andare ad occuparsi di questi due bambini sconosciuti (ecco un’eco della Signora Wix, ossessiva e super-egotica governante della piccola Maisie del romanzo “Quel che sapeva Maisie” sempre di Henry James).
La mancanza di risposta a questi quesiti sollecita la memoria dello spettatore ad un’anamnesi delle proprie caverne interiori. Una larga parte degli esegeti del libretto e della musica de “Il giro di vite” (e prima di questi, del racconto di James) pongono al centro di questa storia di fantasmi una domanda: i fantasmi esistono o sono il risultato di una proiezione della mente di questo o quel personaggio (spesso della Governante)?
Credo che il compito di un interprete di questo testo sia sottrarsi a tale dualismo, ed imprimere all’opera un ulteriore giro di vite che permetta agli spettatori di dubitare di più, di perdersi ancora di più nei propri meandri interiori.
Se il linguaggio utilizzato dal primo giro di vite (James) è quello della scrittura e quello utilizzato dal secondo giro di vite (Britten) è la musica, quello che ho scelto per imprimere il terzo giro di vite è il teatro visuale fatto di immagini stereoscopiche (3d) e ombre. La stereoscopia concretizza davanti agli occhi dello spettatore presenze sottili, proiezioni del racconto. Il ribaltamento e la confusione tra un mondo bidimensionale fatto di ombre in carne ed ossa ed un mondo tridimensionale che galleggia nell’aria permette di raccontare una storia in cui la meravigliosa musica di Britten ci conduce, comunque, al tragico epilogo della misteriosa morte di un bambino innocente.
La narrazione del bambino che è dentro ognuno di noi e le perversioni che lo abitano, sono il terreno su cui le note e le parole costruiscono le immagini delle nostre paure più recondite.
La biglietteria dell’Opera di Firenze è aperta dal martedì al sabato 10-18. La biglietteria del Teatro Goldoni sarà aperta da un’ora prima dell’inizio degli spettacoli. Informazioni
INCONTRO
Il teatro di Benjamin Britten, in particolare Il giro di vite
Incontro con il M° Jonathan Webb e Alberto Batisti Museo Enrico Caruso
17 maggio, ore 17.00
Ingresso gratuito