«Di tutte le mie creature, il Fidelio è quella la cui nascita mi è costata i più aspri dolori, quella che mi ha procurato i maggiori dispiaceri. Per questo è anche la più cara; su tutte le altre mie opere, la considero degna di essere conservata e utilizzata per la scienza dell’arte»: così Ludwig van Beethoven presentava la sua unica opera, con una trama incentrata sulla lotta contro la tirannia e la ricerca della giustizia, messa in scena in una Vienna appena occupata dalla truppe napoleoniche.
Fidelio, oder die eheliche Liebe
(Fidelio o l’amor coniugale)
Singspiel in due atti
Musica di Ludwig van Beethoven
Libretto di Joseph Sonnleithner, Stephan von Breuning e Georg Friedrich Treitschke
Da Léonore ou l'amour conjugal di Jean-Nicolas Bouilly (1798)
Allestimento del Palau de les Arts di Valencia
Cantata in tedesco. Sovratitoli in inglese e italiano.
Per chi ha scelto di non partecipare alla prima del 27 aprile a causa dello sciopero sarà possibile richiedere il rimborso o il cambio del biglietto da mercoledì 29 aprile a giovedì 7 maggio 2015 presentando il proprio biglietto integro alla biglietteria dell'Opera di Firenze (aperta martedì-sabato, ore 10-18) oppure inviando una email a biglietteria@maggiofiorentino.com
Don Pizarro - governatore di una prigione di stato
Evgeny Nikitin
Florestan - un prigioniero
Burkhard Fritz
Leonore - sua moglie, sotto il nome di Fidelio
Ausrine Stundyte
Rocco - carceriere
Manfred Hemm
Marzelline - sua figlia
Anna Virovlansky
Jaquino - portiere
Karl Michael Ebner
Primo Prigioniero
Pietro Picone
Secondo Prigioniero
Italo Proferisce
ATTO I
Nel cortile di una prigione di stato nei pressi di Siviglia, il guardiano Jaquino sta chiedendo a Marzelline, figlia del capocarceriere Rocco, di sposarlo. La ragazza temporeggia, invaghita di un misterioso uomo chiamato Fidelio. Questi, che altri non è che Leonore, tenta di guadagnarsi la fiducia di Rocco per scoprire se il marito Florestan, misteriosamente scomparso da oltre due anni, sia qui rinchiuso. Nel frattempo Pizarro, sovrintendente del carcere, riceve una lettera che lo informa di un’imminente ispezione del ministro Don Fernando, desideroso di far luce su alcuni sospetti abusi di potere. Pizarro, che infatti ha imprigionato Florestan per pura vendetta, decide di ucciderlo prima dell’arrivo del funzionario e impone a Rocco di scavare una fossa in cui nasconderne il corpo. Successivamente il capocarceriere, su insistenza di Leonore, concede ai prigionieri la possibilità di uscire in giardino; Pizarro, furioso, ordina a Rocco di scendere nel sotterraneo a compiere il suo terribile dovere.
ATTO II
Florestan giace incatenato all’interno di un oscuro sotterraneo. Leonore, scesa assieme a Rocco, ne riconosce la voce e lo conforta con un po’ di pane. Sopraggiunge anche Pizarro che, armato di pugnale, si avventa sul prigioniero; Fidelio si frappone e rivela, tra lo stupore generale, la sua vera identità. Uno squillo di tromba annuncia l’arrivo di Don Fernando: il sovrintendente si reca ad accoglierlo e i due sposi possono finalmente riabbracciarsi. All’esterno del castello, Don Fernando comanda, per ordine del re, di liberare tutti i prigionieri e, mentre Pizarro è arrestato, ingiunge che sia la stessa Leonore a liberare il marito dalle catene.
LUDWIG VAN BEETHOVEN
Nasce a Bonn il 16 dicembre 1770 da una famiglia di lunga tradizione musicale, ma il suo primo importante maestro è Christian Gottlob Neefe. Nel 1787 è a Vienna, dove ha un fugace incontro con Mozart e dove torna, cinque anni dopo, per studiare con Haydn. Il 2 aprile 1800 vengono eseguiti, con grande successo, il suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra e la sua Prima Sinfonia. Nel 1802, con l’inizio della lavorazione della Terza Sinfonia, l’Eroica, lo stile di Beethoven acquista grandiosità. La prima versione di Fidelio, la sua unica opera lirica, va in scena nel 1805, ma è un insuccesso. Diventato praticamente sordo, continua comunque a lavorare creando gli estremi capolavori della Missa Solemnis (1819-‘23) e della Nona Sinfonia (1822-’24). Muore a Vienna il 26 marzo 1827 e ai suoi funerali partecipano almeno ventimila persone.
PIERLUIGI PIER’ALLI
Pierluigi Pieralli nasce nel 1948 a Firenze, città in cui studia architettura. Fondatore e direttore della compagnia teatrale Ouroboros, nel 1982 si avvicina all’opera lirica e al Teatro alla Scala di Milano porta in scena Erwartung, Die glückliche Hand e Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg. Tra i tanti allestimenti figurano DerRing des Nibelungen e Aida per il Teatro Comunale di Bologna, Simon Boccanegra coprodotto tra i teatri La Fenice di Venezia e Carlo Felice di Genova, Lucia di Lammermoor, Beatrice di Tenda e Der Freischütz per il Teatro la Scala di Milano, Pellèas et Mélisande per l’Opéra de Lille, La Metamorfosi per il 75° Maggio Musicale Fiorentino. Nel 2006 firma Fidelio per l’inaugurazione della prima stagione lirica del Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia.
FIDELIO SECONDO PIER’ALLI
Fidelio, che può essere considerato in sintesi, un inno alla libertà, è frutto di una problematica morale e filosofica che genera, a parer mio, tutta una complessa struttura simbolica.
L’ispirazione morale di Beethoven vola in parallelo con l’ideologia illuministica di Rousseau - secondo la quale l’uomo nasce libero - e la riconquista della libertà, perduta anteriormente in processi storici involutivi, è come il risultato di una evoluzione o di una rivoluzione guidata sempre dalla ragione. La conquista della libertà, secondo Beethoven, passa attraverso una schiavitù che è la schiavitù dell’anima e fa parte di un piano supremo, cioè divino. In Fidelio l’uomo si presta perfettamente alla realizzazione di questo piano, per il fatto che il passaggio dalla schiavitù alla libertà avviene nella perfetta consapevolezza. Florestano, il prigioniero, la vittima sacrificale liberata, sente di aver attraversato un tunnel di dolore necessario alla sua evoluzione esistenziale, tant’è che pur nell’abisso del carcere si esprime così: “Ich murre nicht, da Mass der Leiden steht bei dir” (“Non mi lamento, la misura del dolore è dentro di noi”).
La musica di Beethoven è un tutt’uno con il suo profondo contenuto morale e spirituale dal quale deriva il suo elevato senso di verità e di trasparenza che viene così riaffermato. Libertà e luce sono, in modo commovente, elementi intrinsechi del canto dei prigionieri e le emozioni che ne derivano non sono di tipo sentimentale, ma piuttosto morale e spirituale, almeno a livello subliminale. Quand’anche l’intelletto volesse mostrarsi critico di fronte a tanto idealismo, sarebbe comunque inevitabile essere trascinati da questo torrente di valori che muove l’ispirazione musicale stessa.
La libertà per Beethoven risiede dunque nel centro stesso dell’essere e quindi, in definitiva, risiede in Dio. Se come ogni archetipo, può essere rivelata attraverso i simboli del sogno e decodificata dalla psicanalisi, la musica ha, da parte sua, la capacità di risvegliarla con immediatezza intuitiva, facendo compiere quello scatto profondo che sfugge alla ragione stessa. Un messaggero d’amore, Leonora, scende nelle profondità della fortezza per liberare lo sposo ingiustamente condannato. La sua azione è frutto del libero arbitrio o è strumento di un piano supremo per espellere l’ingiustizia e il male dal mondo? La domanda è destinata a rimanere senza risposta. La personalità di Leonora è forte e la sua volontà racchiude tutta la capacità di resistenza umana, ma tutto ciò non sarebbe comunque sufficiente a farle raggiungere il suo obiettivo se l’arrivo del ministro non coincidesse alla perfezione con il momento fatale in cui tutto sembra perduto. Microcosmo e macrocosmo sembrano ontologicamente coincidere.
Non ci troviamo all’interno della cultura consolatoria dei film d’avventura, dove arrivano i buoni a rovesciare la tragedia in lieto fine. Siamo nella trama simbolica di una concezione del mondo che non può essere banalizzata. Il ministro è il messaggero di una mente illuminata che sta al centro del potere, un castello kafkiano che si apre alle idee di giustizia, così come Leonora è la messaggera dell’amore che dà vita al mondo e rende possibile il sacrificio dell’uomo per l’umanità. Il quadro dell’opera, dunque, è più profondo di quello che potrebbe sembrare ed è la musica che inonda le piastrelle di una fragile drammaturgia - quella del libretto - per dar vita ad una coerente architettura ideale.
L’opera si sviluppa su due piani. Il primo inizia come una commedia del diciottesimo secolo, dove il travestimento di Leonora apre una breccia inquietante in un gioco superficiale di vicende amorose. Dentro una trama banale e destinata ad essere tale, se rimanessimo nel puro dramma teatrale, è la musica che apre brecce nel quotidiano lievitando piani più sottili della psicologia. Vedi il Quartetto, che alimenta improvvisamente un clima di suspence e di ambiguità dei rapporti, vanificando le illusioni dei personaggi. Vedi il Trio che è apparentemente una comica performance comico-musicale, ma in realtà è una inquietante apologia del danaro, un ritratto poco edificante del Rocco padre e guardiano al servizio di poteri loschi. Da lì all’accettare il compenso di Pizarro per una abietta complicità, il passo è breve, anche se poi il buon vecchio bofonchia disapprovazione ed è salvato da un destino fortunato ed implicitamente assolto dal lieto fine. Possiamo solo dire di lui: Così fan tutti. L’arrivo di Pizarro in “medias res” dà un colpo mortale a qualsiasi ambiguità della commedia; con l’arrivo del terribile governatore, del mostro di crudeltà, che la musica dipinge come un temporale distruttivo, la situazione cambia completamente: da ora in poi solo il terrore domina nella fortezza, ed il luogo ne risente in modo speculare.
Il secondo piano, si sviluppa nel vortice dell’inconscio, il sotterraneo del carcere-fortezza, a cui si arriva attraverso un’agghiacciante introduzione musicale, dove le carceri immaginarie di Piranesi contribuiscono alla fantasia visionaria di questo viaggio nelle viscere della terra e dell’essere. Sfociando nel finale liberatorio, con l’applauso collettivo, tutto lo sviluppo precedente si converte nell’emblema di un processo evolutivo e cosciente dello spirito, che è il fondamento di tutta la filosofia hegeliana.
La visione scenica che ho concepito è complessa per quanto riguarda l’interpretazione dei cambiamenti di spazio, che devono avere un forte valore simbolico. Si passa dunque dallo pseudo naturalismo di un cortile non meglio identificabile - salvo che per le macchine di tortura, estrapolate dal contesto della loro funzione effettiva - dove i personaggi vivono inconsapevolmente la routine quotidiana di una convivenza con il dolore, alla metamorfosi perturbante di un cortile simbolo di cupa segregazione dove ai prigionieri, ridotti a larve umane, è concesso temporaneamente di ritrovarsi in una debole parvenza di luce e mantenere qualcosa di umano.
Il terzo livello di questa metamorfosi è la prigione profonda, il centro del degrado, della morte apparente della coscienza, dove il prigioniero è un archetipo di vittima, ma dove, nonostante tutto, la coscienza vive il guizzo improvviso di un nuovo risveglio. Il nome di Florestan, derivato da un mito dimenticato, non allude forse a una fioritura che si rinnova? Fidelio qui va oltre l’hic et nunc dell’opera teatrale e della salvezza; si converte in emblema di una condizione umana più vasta e nella stessa visione dell’umanità che annega nella schiavitù dell’anima e del corpo e che aspira alla libertà.
Il mezzo teatrale non basta ad esprimere tutto ciò e, pertanto, il mezzo virtuale si trasforma in un aiuto irrinunciabile. Per ottenere un’amplificazione efficace, la scena si sdoppia tra piano reale e piano virtuale. L’introduzione musicale del secondo atto si trasforma in una viaggio che amplifica il concetto di carcere in quella di prigione-mondo e conduce, attraverso visioni dell’inconscio, fino agli abissi del nulla. Il carcere di Florestano è come un pozzo isolato in una immensità oscura dove l’immagine spettrale di una ruota della tortura sembra contenere tutto lo spazio in un brandello di crudeltà metafisica.
Infine, dopo la Leonore III, facoltativa a seconda delle diverse edizioni dell’opera, ecco l’ultima metamorfosi concettuale dello spazio, un vertiginoso viaggio alla rovescia dall’incubo alla realtà. Tutti gli emblemi della schiavitù di disintegrano, i fantasmi della coscienza si vanificano ed approdiamo di nuovo alla vita, un palcoscenico smagliante di luce e sorriso dove Ragione ed Amore celebrano il loro trionfo in una festa che vede vincente l’Uomo, il Popolo e la Storia.