La scommessa di due spavaldi ufficiali, certi della fedeltà delle loro fidanzate, dà avvio a un audace e pericoloso gioco delle coppie. Una disincantata “scuola degli amanti”, già il sottotitolo lo dichiara, riscaldata dal sensuale sole di Napoli per apprendere, attraverso improbabili travestimenti e momenti di pura magia musicale, la più umana delle lezioni: il cuore è fragile e l’amore è volubile, perché in fondo Così fan tutte. Grazie a una compagnia di eccellenza torna a Firenze in una nuova produzione il terzo e ultimo frutto della collaborazione tra Wolfgang Amadeus Mozart e il librettista Lorenzo Da Ponte, a cui il soggetto, forse ispirato a un episodio realmente accaduto, sembrerebbe essere stato suggerito dallo stesso Imperatore.
Così fan tutte, ossia La scuola degli amanti
Opera buffa in due atti
Libretto di Lorenzo da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Programma
Prima parte: 1 ora e 32 minuti
Intervallo: 30 minuti
Seconda parte: 1 ora e 28 minuti
A Napoli, in una bottega di caffè, l’anziano filosofo don Alfonso scommette con gli scettici ufficiali Ferrando e Guglielmo di riuscire a dimostrare l’infedeltà delle loro rispettive fidanzate, le sorelle Fiordiligi e Dorabella. Queste, raggiunte in giardino dal filosofo, vengono informate di un’imprevista chiamata al fronte dei due innamorati. Dopo un ultimo saluto agli ufficiali, le ragazze sono consolate, nei loro appartamenti, dalla cameriera Despina; a questa Don Alfonso offre una ricompensa in cambio dell’aiuto nel mettere in buona luce con le padrone due suoi misteriosi amici. Gli uomini, che altri non sono che Ferrando e Guglielmo mascherati da nobili albanesi, dopo infruttuosi approcci che scandalizzano le due sorelle, provano a impietosirle fingendo di avvelenarsi. Il piano sembra funzionare e i finti moribondi vengono salvati dall’arrivo di Despina travestita da medico.
ATTO II
Dopo nuovi incitamenti da parte della cameriera, le sorelle decidono di lasciarsi corteggiare dai due forestieri, scegliendo un cavaliere a testa. Durante una festa in riva al mare le due nuove coppie si appartano: Dorabella accetta un pendente a forma di cuore da Guglielmo in cambio di quello con il ritratto di Ferrando; Fiordiligi invece, nonostante appaia molto turbata, rifiuta le profferte di Ferrando. La felicità di quest’ultimo, soddisfatto dell’atteggiamento virtuoso della donna, viene però interrotta da Guglielmo, che gli mostra il ritratto ottenuto da Dorabella. Fiordiligi nelle sue stanze indossa un’uniforme per raggiungere l’amato nell’esercito quando, ancora una volta di fronte alle lusinghe di Ferrando, cede. Si possono ora celebrare le doppie nozze, siglate da Despina travestita da notaio. Ma un rullo di tamburi che annuncia il ritorno dei soldati interrompe la cerimonia. Ferrando e Guglielmo rivelano alle attonite donne la loro reale identità e il doppio matrimonio può finalmente compiersi per davvero.
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Nasce a Salisburgo nel 1756 da una famiglia di musicisti. Enfant prodige, inizia a suonare il clavicembalo a tre anni e compone i primi pezzi a cinque. Il padre Leopold organizza per il talentuoso Amadeus tournée europee a Francoforte, Parigi, Londra e in Italia. Assunto come musicista di corte a Salisburgo nel 1773, nel 1777 viaggia in cerca di un lavoro migliore, ma senza successo. Richiamato come organista di corte a Salisburgo nel 1779, nel 1781 ne viene cacciato «con un calcio nel didietro». Inizia a comporre su commissione e per il pubblico, esibendosi come solista nel Concerto in re minore n. 20 K 466 e nel Concerto in do minore n. 24 K 491. Il periodo di fortuna economica, ebbe il culmine nel 1786 con il trionfo delle Nozze di Figaro a Praga, dove riceve la commissione per il Don Giovanni. Nominato compositore della corte imperiale nel dicembre 1787, riceve però solo ottocento fiorini all'anno invece dei duemila destinati a Gluck che aveva ricoperto lo stesso ruolo. Inizia a chiedere soldi in prestito e fare debiti. Il 1790 è il periodo di minore produttività per Mozart, in cui però viene rappresentato il Così fan tutte. Nel 1791 compone Il Flauto Magico e un'opera seria, La clemenza di Tito, fino a quando riceve una commissione misteriosa per una messa da requiem: ammalatosi durante la sua composizione, muore a Vienna il 5 dicembre 1791.
ROLAND BÖER
Roland Böer (Bad Homburg, 1970) ha studiato pianoforte, composizione e direzione d'orchestra. Dal 2002 fino al 2008 ha ricoperto il ruolo di Kapellmeister all'Oper Frankfurt. Dal 2009 è direttore musicale del Cantiere Internazionale d'Arte di Montepulciano, dove dal 2015 assume il ruolo di direttore artistico e musicale. Come direttore con repertorio operistico e sinfonico, Roland Böer è stato ospite del Teatro alla Scala di Milano, del Teatro Reale Covent Garden e della English National Opera di Londra, del Théâtre de la Monnaie a Bruxelles, della Deutsche Oper e Komische Oper di Berlino, del Teatro Reale di Stoccolma, del Teatro Reale di Copenaghen, dell'Opéra du Rhin a Strasburgo, dell'Opera di Berna, del Teatro Wielki a Warsavia, e della Volksoper di Vienna, Teatro Petruzzelli di Bari, Opéra de Nice, Opera Nazionale Ungherese di Budapest. Ha diretto la Filarmonica della Scala e l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia, la London Symphony e la Oslo Philharmonic Orchestra, la Radio-Sinfonieorchester di Francoforte e la Rundfunkorchester della Radio Bavarese, la Royal Liverpool Philharmonic Orchestra, l'Orchestra della Fondazione Petruzzelli di Bari, l'Orchestre Philharmonique de Luxembourg, la Deutsche Radio-Philharmonie e la Bournemouth Symphony Orchestra. Tra le orchestre da camera, ha diretto l'Ensemble Modern, la Northern Sinfonia, la Scottish Chamber Orchestra e la Deutsche Kammerphilharmonie Bremen. Ha diretto nel 2014 i quattro concerti finali del Concorso Regina Elisabetta (VOICE 2014) con l'Orchestre du Théâtre de la Monnaie à Bruxelles. Nel 2015 è stato chiamato all'Opera di Roma per la produzione de Le nozze di Figaro. Dirige, tra l'altro, un concerto straordinario con la Quinta di Mahler con la Neue Philharmonie Frankfurt, Così fan tutte all'Opera di Firenze, tornando all'Opéra de Nice con Morte a Venezia, mentre al Teatro nazionale di Praga guiderà Elektra.
LORENZO MARIANI
Nasce a New York da genitori italiani e si laurea in storia moderna alla Harvard University. Dopo il debutto nella regia d’opera nel 1982 con Il castello del principe Barbablù al Maggio Musicale Fiorentino, collabora con direttori come Claudio Abbado, Zubin Mehta, John Eliot Gardiner, Myung-Whun Chung, Daniele Gatti e firma allestimenti per teatri quali San Carlo di Napoli, La Fenice di Venezia, Comunale di Bologna, Regio di Parma, Massimo di Palermo, Regio di Torino, Verdi di Trieste, San Francisco Opera, Lyric Opera di Chicago, Israeli Opera, Opéra Royal de Wallonie, Opera Nazionale Finlandese. Dal 2005 al 2012 è Direttore Artistico del Teatro Massimo di Palermo.
MAURIZIO BALÒ
Nasce a Montevarchi nel 1947 e studia architettura all’Università degli Studi di Firenze. Assistente di Emanuele Luzzati, collabora quindi, realizzando scene e talvolta anche costumi, con registi come Massimo Castri, Giancarlo Cobelli, Lorenzo Mariani, Federico Tiezzi, Werner Herzog, Michele Placido, Cesare Lievi, Roberto Valerio. È vincitore di sei Premi Ubu per la miglior scenografia.
SILVIA AYMONINO
Nasce a Roma, città dove comincia la sua carriera lavorando alla Sartoria Tirelli. Qui, collaborando con Gabriella Pescucci e Maurizio Millenotti, si occupa di tutta la parte di elaborazione del materiale; affianca in seguito il direttore Giorgio d’Alberti nella realizzazione dei costumi di film e spettacoli prodotti dalla sartoria tra il il 1985 e il 1993 per disegnatori come Piero Tosi, Pier Luigi Pizzi, Franca Squarciapino, Vera Marzot, Carlo Diappi, Paul Brown. Dopo il debutto nel 1996 come costumista al Teatro dell’Opera di Roma in Turandot, collabora a più riprese con registi quali Luca Ronconi, Francesco Micheli, Damiano Michieletto, Lorenzo Mariani, Franco Ripa di Meana, Marco Gandini, Andrea Liberovici.
FRA RAGIONE E SENTIMENTO
Intervista a Lorenzo Mariani di Leonetta Bentivoglio
È uno tra i più esperti registi d’opera del nostro tempo, di volta in volta orientato all’esplorazione dei “sottotesti” che scorrono nei capolavori musicali. All’italo-americano Lorenzo Mariani piace guardare “al di là”, esplorando le opere oltre le convenzioni, gli stereotipi registici, le letture oziose e rassegnate ai luoghi comuni. In certi casi (non sempre) ama modernizzare i contesti, com’è accaduto nel suo brillante Barbiere di Siviglia visto l’anno scorso a Roma. Ma le sue scelte coerenti, attente alle ragioni di musica e libretto, non sono mai dettate da un mero spirito di provocazione.
Quest’atteggiamento anima anche il suo primo confronto con Così fan tutte, ultima tappa di una geniale trilogia, quella di Mozart e Da Ponte, che Mariani ha già parzialmente frequentato mettendo in scena Le Nozze di Figaro e Don Giovanni. Al suo viaggio nella trilogia dapontiana mancava solo la “coda” decisiva del simmetrico e magistrale Così.
Mariani, come mai un mozartiano come lei ha rimandato tanto l’incontro con Così fan tutte?
“Era una delle opere che mi spaventava di più insieme al Barbiere di Siviglia. Del Barbiere temevo la forma assolutamente perfetta. Ora ho rotto il ghiaccio con entrambe. Dopo aver proposto l’opera più famosa di Rossini l’anno scorso a Roma, per la stagione di Caracalla, vado in scena col mio primo Così fan tutte all'Opera di Firenze, teatro a cui mi lega una collaborazione trentennale”.
Da che cosa nasceva la sua paura per Così?
“Dall’idea di un’opera fredda e geometrica, un gioco razionalistico e illuministico nel quale non riuscivo a vedere una storia profondamente umana. Ma mi sbagliavo. Entrandoci dentro, ho capito che è un percorso rivelatorio, alla scoperta di se stessi, capace di arrivare là dove finisce il raziocinio. L’aspetto ludico è soltanto una cornice. Il flusso dei sentimenti è contraddittorio, variegato e sfugge al controllo dell’intelletto, sembra suggerirci Così fan tutte. E dicendoci questo, Mozart e Da Ponte sono molto più vicini a Virginia Woolf di tanti pensatori e artisti romantici venuti dopo di loro. Così fan tutte ci lancia in una ricerca introspettiva che supera i confini cerebrali per approdare nell’intimità e nelle passioni”.
Parliamo di quest’approdo.
“Col suo scambio di coppie e la sua messa alla prova della fedeltà di tutti (e non solo di tutte!), l’opera ci guida verso la consapevolezza del nostro bisogno irresistibile e vitale di seguire “le necessità del core”, come le chiama Don Alfonso, lo stratega della scommessa da cui si sviluppa la trama. Così fan tutte smitizza il romanticismo per dare spazio alle necessità affettive, emotive e anche sessuali. Perciò l’opera non fu gradita all’Ottocento romantico, mentre appartiene in pieno al secolo in cui nacque Jane Austen e uscirono Le liaisons dangereuses di Chordelos de Laclos. Pur molto essenziale nell’architettura, ha una complessità di contenuti che ha attratto filosofi come Isahia Berlin e Bernard Williams e come lo storico dell’arte Ernst Gombrich. E nel segnalarci il mistero della sessualità femminile sembra anticipare Freud”.
In che senso?
“Ernest Jones, biografo di Freud, ha mostrato, attraverso lettere e documenti, come il creatore della psicoanalisi avesse grandi difficoltà nel capire la sessualità della donna, definendola un continente oscuro. Freud finì per scrivere che solo un poeta avrebbe potuto sbrogliare l’enigma. E Mozart, con la sua arte, tocca zone segrete e ineffabili, confermandosi come il poeta delle donne proprio in Così fan tutte. È l’aria “Soave sia il vento” a segnare una svolta nella vicenda, aprendo il varco alla comprensione di sé da parte dei quattro personaggi. Qui Mozart sembra dare la chiave dell’esperimento psicologico messo in atto fra le due coppie che si dimostreranno capaci di tradirsi”.
Per Firenze, nel 2013, lei montò un Don Giovanni diretto da Zubin Mehta e immesso negli anni Venti. Che ambientazione ha scelto per questo Così fan tutte?
“Gli anni Cinquanta, un’epoca di rottura di molte regole sul piano del costume sociale e dell’esplosione di nuove strade nei rapporti. Ho immaginato un mondo di aristocratici i quali si rendono conto che le norme della società non riescono a governare le loro passioni. Si pensa a certe ville di ricchi al mare, su sfondo partenopeo. Non a caso quest’intreccio di amori roventi si svolge ai piedi di un vulcano. Ferrando e Guglielmo, i due finti “cavalieri albanesi”, sono ufficiali di marina che partono per una missione all’estero. Potrebbero far parte di un contingente italiano spedito in Medio Oriente. E Don Alfonso è una specie di Truman Capote o di Paul Bowles, ovvero uno scrittore che osserva con sguardo acuto certe situazioni conturbanti e agitate del jet set, fra tradimenti, abbandoni e innesti di relazioni”.
Come ha lavorato nel dirigere i cantanti? Ha proposto una cifra interpretativa?
“Ho detto loro, all’inizio delle prove: vengo qui a cercare di capire qualcosa di me stesso attraverso quest’opera che parla di tutti noi. Facciamolo insieme. E chiediamo aiuto a Mozart – come ha suggerito Freud. Ho progettato di mettere in scena ciò che Ferrando, Fiordiligi, Guglielmo e Dorabella sentono e fanno, e anche ciò che desiderano ma non osano fare. In qualche modo ho tentato di teatralizzare l’inconscio, di dare concretezza e visibilità ai rispettivi conflitti interni”.
Secondo lei è malinconica o gaia la conclusione di Così fan tutte? Ha una temperatura buffa o drammatica? I registi non sembrano concordi su questo fronte.
“L’ambiguità di Così non fornisce risposte prive di sfumature. L’opera non offre soluzioni definitive, come neanche la vita. Un suono vuoto rimbomba nel finale: qualcosa d’importante è accaduto nelle esistenze delle due coppie, che non potranno mai più tornare indietro. I nostri eroi, così somiglianti a ciascuno di noi, si sono modificati nel profondo e hanno imparato molto di se stessi. Hanno capito (e noi con loro) che nella natura umana si scontrano ragione e sentimento. “Sense e sensibility”, direbbe Jane Austen. Da quest’eterno contrasto nessuno esce vincitore”.