Stagione 2016/17
Opera

Le convenienze e inconvenienze teatrali

Gaetano Donizetti

Ambientato nel teatrino di Brozzi, sobborgo di Firenze, è un'anticipazione farsesca delle pièce pirandelliane del teatro nel teatro. Vanno in scena, infatti, le prove di uno spettacolo con tutti gli stereotipi possibili: il soprano primadonna, il tenore tedesco dal cognome impronunciabile, il compositore che scopiazza, per finire con un improbabile baritono en travesti, Mamma Agata, che cantando in napoletano minaccia il compositore affinché la figlia, la seconda donna, abbia il ruolo rilevante che le spetta. Dai ridicoli consigli di far fare al violino zicchete, zicchete e al violone frunchete frunchete si arriva in una serie di gag a sapere che il comune ha sospeso all'impresario / ogni aiuto finanziario, per cui il compositore Biscroma Strappaviscere propone: «Facciam fagotto / e col cappotto / tentiam scappar».

 

Le convenienze e inconvenienze teatrali (Viva la mamma!)
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Domenico Gilardoni tratto da Le convenienze teatrali e Le inconvenienze teatrali di Antonio Simone Sografi
Musica di Gaetano Donizetti

Nuovo allestimento in collaborazione con il Conservatorio di Musica “Luigi Cherubini” di Firenze

Artisti

Direttore
Paolo Ponziano Ciardi

Assistente direzione e maestro al clavicembalo
Alessio Casinovi

Regia
Francesco Torrigiani

Assistente regista
Anna Tereshchenko

Scene
Gabriele Vanzini

Costumi
Lisa Rufini

Luci
Alessandro Tutini

Orchestra e Coro “Luigi Cherubini” di Firenze

Maestro del Coro
Francesco Rizzi
Daria Garbinati
Eleonora Bellocci

Procolo Cornacchia
William Hernandez

Luigia Castragatti
Myung-san Ko / Dioklea Hoxha (1.3)

Agata Castragatti
Filippo Morace

Pipetto Frescopane
Cecilia Bagatin

Guglielmo Hollemand
Antonio Alcaide Garés / Francisco Javier Ariza (1.3)

Biscroma Strappaviscere
Dielli Hoxha

Cesare Salzapariglia
Omar Cepparolli

Impresario
Francesco Samuele Venuti

Direttore di palcoscenico
Sandro Degl’Innocenti / Kyle Patrick Sullivan (1.3)
BREVI APPUNTI PER UN PROGETTO DIDATTICO E PRODUTTIVO
di Francesco Torrigiani
Ogni volta che ho immaginato un racconto scenico per i miei studenti, ho sempre cercato di unire al naturale desiderio di costruire una narrazione teatrale che partisse dalla mia sensibilità personale un’attenzione particolare agli “attori” con cui lavoravo ed al loro mondo, col quale entravo in contatto in maniera ancora più profonda rispetto al quotidiano lavoro dell’anno accademico.
Quando si è presentata l’occasione di queste Convenienze, una partitura integralmente e magnificamente meta-teatrale, è risultato quasi automatico immaginare questa messinscena come l’occasione per riflettere insieme a questi giovani cantanti sul mondo teatrale contemporaneo, su quel mondo al quale essi desiderano affacciarsi e per entrare nel quale essi studiano e faticano ogni giorno.
Si rendeva necessario svecchiare drasticamente il testo, sradicarlo da quella pur felicissima area da gioco divistico nella quale grandi interpreti lo hanno sinora fatto rivivere in edizioni che ne hanno fatto la storia recente. A ben leggere, il testo, il gioco delle convenienze teatrali, delle gerarchie reclamate da ogni interprete in scena, è inserito in un contesto - il Teatro di Brozzi - che certo non si può immaginare come un palcoscenico di primo panorama internazionale: in altre parole la storia non si ambienta certo in un grande teatro d’opera ed i personaggi che lo agiscono sono quindi più caricature di grandi divi piuttosto che stelle vere e proprie del mondo dell’opera.
La storia, narrata con la comicità tipica della farsa, è di fatto quella di un fallimento dovuto ad un sistema di produzione tutto rivolto a un mondo autistico, che parla un linguaggio obsoleto di teatro personalistico e privo di una coscienza profonda del valore primo del teatro quale luogo di riflessione collettiva profonda della società.
Un mondo vecchio sull’orlo del disastro, un piccolo grande Titanic che affonda senza saper cambiare le proprie regole del gioco, se vogliamo addirittura un’immagine terribilmente attuale della nostra società e del teatro che non può che raccontarla e viverne direttamente la crisi valoriale.
Da queste premesse è nato il primo modello artistico cui fare riferimento, quel magnifico affresco simbolico di una società chiusa e piegata su se stessa che è stato Prova d’orchestra di Federico Fellini. Tolti dal mondo ottocentesco dell’epoca d’oro del melodramma, gli scontri tra i personaggi che si combattono in scena, se rivelano forse una sorta di lontana parentela coi Sei personaggi pirandelliani, certamente si inseriscono in un racconto comunque più vicino alle nostre sensibilità e diretta memoria storica. Il parterre dei luoghi comuni offerto dalla partitura è completo: soprani con l’unica ansia della salute delle proprie corde vocali, tenori rigidi e tetragoni, cantanti (ex cantanti?) improvvisati per riempire vuoti lasciati da forfaits dell’ultimo momento, ma anche un compositore-direttore d’orchestra chiuso in un mondo etilico popolato unicamente da crome e semicrome, un poeta-regista tabagista che, nonostante “talenti poetici” da intellettuale impegnato, di fatto cerca di sbarcare il lunario mettendo di seguito rime baciate di manifesta mediocrità.
Persino l’Impresario sembra essere in scena più che per altro per racimolare qualche lira, magari da giocarsi a una corsa di cavalli, mentre il Direttore di scena pare attento solo ad un rispetto impiegatizio degli orari di lavoro. Il tutto in un’immagine complessiva dei personaggi che dagli anni ’70 della pellicola felliniana ricava fonti per personaggi talvolta famosi (come Renato Vallanzasca, o altri involontariamente felliniani come Moira Orfei o Marta Marzotto), talvolta quotidianamente ordinari: anni ’70 come tempo di un racconto passato, di una dinamica relazionale antiquata ma non antica, da modernariato della memoria, al quale ancora molte dinamiche - vizi? - del nostro mondo e del nostro teatro contemporanei sembrano, talora anche involontariamente, ancorati.
L’azione si svolge su un piccolo palcoscenico, visto al suo interno prima e dal suo lato della vista tradizionale del pubblico poi: un piccolo palcoscenico essenziale e simbolico, ma di provincia, una sorta di isola-gabbia nella quale i personaggi si muovono senza poterne uscire, senza potersene liberare, prigionieri della loro stessa visione del teatro; in esso l’azione stessa ha, come deve, i connotati della farsa, di una comicità i cui antecedenti sono bassi, talvolta quasi petroliniani, e la leggerezza dei travestimenti giovanili, quasi infantili, dei giochi con i modelli di carta per i figurini da inserti domenicali per i ragazzini di un tempo e di una realtà non ancora virtuali.
In una partitura che parla più profondamente nel nostro triste paese - l’Italia - di quanto lasci trasparire il suo sguardo comico-farsesco: l’esito di questo teatro è la sua scomparsa, anche fisica, in una fuga tanto comica quanto moralmente pavida; perfino in quest’ultima azione ciascuno dei personaggi resta solo, sordo, fugge per la sua propria strada e lascia uno spazio vuoto, il quale è pronto però a farsi riempire da una nuova generazione di giovani artisti che - cessate sterili dispute tra diritti e privilegi, tra Convenienze e inconvenienze - vuole solo cantare in ogni lingua la sua speranza per un domani finalmente solare, pieno di teatro, di arte e di bellezza.
Date

Mar 28 febbraio, ore 20:00
Mer 1 marzo, ore 20:00

Prezzi
Platea 1 € 30
Platea 2 € 20
Platea 3 € 15
Palchi e Galleria € 10
Dove

Teatro del Maggio Musicale Fiorentino

Piazzale Vittorio Gui, 1
50144 Firenze

Dettagli e mappa
Oltre il sipario
Guide all'ascolto
Opera di Firenze
28 febbraio; 1 marzo, ore 19.15